Nella mia ormai classica recensione della Francescana, auspicavo l'esistenza di ristoranti di cucina innovativa che sappiano fare da introduzione e ponte verso questa esperienza gastronomica anomala per chi non l'ha mai provata, in modo da non trovarsi completamente spaesati di fronte a sperimentazioni troppo ardite, che diano la sensazione di trovarsi di fronte a del cibo “alieno” e insensato al cliente impreparato; questa mia considerazione è stata ripresa dall'amico Kava nella sua ultima recensione dell'Erba del re: dopo aver provato anche io questo eccellente e giudizioso ristorante confermo che questo è il luogo giusto per una ragionevole e ragionata iniziazione al mondo dei ristoranti gastronomici.
Ma andiamo per ordine
IL RITORNO, DAL RE
Senza stare a raccontare troppo nel dettaglio i miei casi personali, dirò comunque che il 2009 è stato un anno piuttosto buio nella mia vita, e non a caso non è stato rischiarato da nessuna “stella”, nel senso di stella Michelin: l'ultima mia visita a un locale blasonato è documentata qui su GM, si tratta del ristorante Â? oltretutto ormai chiuso Â? di Olivier Roellinger a Cancale, che di stelle ne aveva tre, quasi in previsione del fatto che la loro luce residua avrebbe dovuto accompagnarmi nel lungo “viaggio al termine della notte”, per rubare a Céline il titolo del suo grande romanzo; per la verità verso la fine dell'anno scorso era stato fatto un tentativo, proprio grazie a GM, di ritornare a mangiare a una grande tavola, ma era poi saltato per spiacevoli contrattempi. E proprio dalla difficoltà a trovare una nuova data per quel progetto è nata la proposta del già citato Kava di riunirci almeno noi alla tavola di Luca Marchini, cosa facilmente realizzabile senza un grande preavviso: ritrovandomi quindi con una giornata di vacanza infrasettimanale Â? cosa per me frequente nel mese di luglio Â? ho dunque colto l'occasione per visitare questo locale che dalle recensioni lette sia qui sia sulle guide ufficiali prometteva bene.
Al momento di partire so già che oltre al “biondo” ci sarà anche il “rosso”, il caro barbe, è invece il quarto commensale che non mi aspetto, e che incontro solo sulla porta del ristorante: non mi è permesso svelare l'identità di questa persona, ma posso dire che difficilmente avrebbe potuto farmi più piacere, con un quartetto del genere l'esperienza inizia sotto i migliori auspici.
LA SALA DI MUSICA (per il palato)
Marchini ha un bel locale, da ristorante di rango: dall'ingresso su cui si affacciano le cucine e le toilette (una nota, ci si potrebbe aspettare in un posto del genere la presenza di singoli asciugamani di piccole dimensioni in spugna, invece ci si deve accontentare di quelli di carta) si diparte il corridoio che porta alle due sale, dalle pareti dipinte di una tinta arancione chiaro, quasi polpa di pesca, appese dei quadri di arte contemporanea sulle quali l'ospite misterioso ha fatto delle garbate battute di spirito. Noi siamo stati accompagnati a un tavolo tondo per quattro persone (quelli da due possono essere quadrati) nella seconda sala, in fondo vicino a una finestra e agli scaffali aperti per i bicchieri.
L'apparecchiatura è quella che ci si aspetta per un locale di questa categoria: numerose tovaglie di cui la superiore bianca immacolata, una piccola scultura al tavolo, sottopiatti, piattino per il pane; le posate in classico argento verranno ovviamente cambiate prima di ogni piatto, così come i calici differenti per ogni vino (Spiegelau, se ricordo bene), calici che, come noterà il fine naso del Kava, non presentano quell'odore di straccio che si può trovare anche in locali insospettabili. Classiche sedie con sedile e schienale in pelle bianca senza braccioli, sala ben condizionata (cosa che non guasta affatto). Ci sediamo e cominciamo a studiare la carta.
LA SOBRIA ABBUFFATA
La carta da Marchini è divisa in tre sezioni: “Un Salto nel Passato...”, “Riflessioni contemporanee...” e “L'importanza della storicità dei piatti...” (una piccola nota di demerito: qui ho messo tre puntini di sospensione, ma sul sito ce ne sono quattro per tutti e tre i nomi, non ricordo sulla carta stessa, ma temo che lo stesso errore sia ripetuto anche lì; per carità una cosa da nulla, ma l'uso erroneo della punteggiatura si potrebbe evitare), sostanzialmente la prima presenta le interpretazioni di Marchini dei piatti classici della cucina emiliana, la seconda le sperimentazioni più recenti e più spinte e la terza delle creazioni storiche dello chef che, per azzardo e lontananza dalla tradizione, si pongono a metà strada; avendo noi scelto con unanime accordo di prendere il menu da sei portate è proprio da questa terza sezione che arriveranno i nostri assaggi. Nel frattempo però drammatiche alternative ci vengono poste da Silvia, la competente e simpatica “sommellière” che proviene da Marostica, la cittadina della scacchiera gigante: quale aperitivo per il primo brindisi e aprire le danze? Dopo una consultazione la risposta sarà : Champagne, e quindi Roederer Brut Premier, classico portabandiera della casa che produce il celebre Cristal (se a qualcuno interessa potrei raccontare nelle risposte la storia della bottiglia di questa cuvée prestige), un ottima partenza che verrà poi replicata per il primo antipasto.
In tavola compaiono le prime sfiziosità croccanti, tra cui spicca questo ibrido tra un grissino e uno gnocco fritto, presentato in un vasetto di sale grosso, decisamente invitante, e insieme tintinna il primo brindisi, tra quattro amici riuniti per celebrare un rito di armonia e civiltà quale è il consumare insieme un pasto preparato con estro, cura e dedizione e consumato nel tempo e con l'attenzione che merita.
Mi si perdonerà se non ricordo esattamente l'amouse-bouche: stava in una ciotolina ed era sicuramente composto da patata, parmigiano e altri ingredienti tra cui della frutta secca... magari un mio commensale può integrare la mia memoria incompleta; rammento invece che, rispetto a come è descritto sul sito “Tartare di razza bianca modenese, germogli, capperi, sorbetto ai mirtilli”, il nostro primo antipasto “senza fuoco” prevedeva anche del formaggio tipo squacquerone, che si armonizzava molto bene con la carne cruda, fornendo una nota acida, più delicata e rispettosa però di quella che avrebbe apportato del succo di limone, le bolle del Roederer pulivano egregiamente la bocca tra un boccone e l'altro.
Il tempo per annusare l'ottimo Sauvignon Quarz della cantina di Terlano 2004, un vino sontuoso, al contempo minerale e ricco di sentori fruttati, e fa la sua comparsa il piatto “Allenamenti sensoriali”, composto da parmigiano reggiano rielaborato in diverse stagionature e consistenze, dal croccante al cremoso, un apoteosi dell'umami, il quinto gusto identificato per la prima volta da studiosi giapponesi e ormai riconosciuto come diverso dagli altri anche dal punto di vista della risposta fisiologica, ma che spesso noi fatichiamo a distinguere dal salato, basti dire però che l'umami è il gusto che più tardi perdiamo, e che proprio nel parmigiano reggiano stagionato ve ne si trova la più alta concentrazione.
Dopo l'umami è il dolce a dominare nei Triangoli di cipolla, amaretti, zucca, pancetta, aceto balsamico tradizionale di Modena, pur essendo opportunamente contrastato dalla sapidità della pancetta, abbinati a uno Chardonnay Marina Cvetic di Masciarelli 2002 dal profumo veramente travolgente ma un po' deludente in bocca, complessivamente meno interessante del Quarz, anche se il primo impatto al naso seduce; tocca ora a uno dei piatti più famosi dello chef, i Passatelli asciutti con ragout di sovracoscia di pollo, uvetta cilena, ristretto di brodo di cappone, e siccome nel frattempo Marchini passa al tavolo a salutare (dimostrandosi cortese ma decisamente non invadente) ci ha spiegato che il piatto era accompagnato da una spuma (o un'aria come si dice) di limone perché alcuni mettono la scorza di limone nei passatelli, lui preferisce non metterla ma aggiunge la spuma in modo che chi ne desidera il sapore può aggiungerlo mangiando il tutto insieme. Arriva anche il primo rosso del pasto: un Rosso Piceno della cantina Velenosi del 2004, molto piacevole, considerato anche il prezzo contenuto a cui lo si può trovare, e vista la capacità che ha di invecchiare, come dimostrato in questa occasione.
Durante il pasto, guardandosi intorno e sulla base della sua esperienza il nostro commensale segreto ha fatto questa riflessione: un tavolo come il nostro, di quattro persone che si riuniscono per il puro piacere di condividere le gioie di una grande cucina, non è inusuale, ma se anziché uomini fossimo stati donne? Ci sono donne che si recano per loro conto in locali del genere, o lo fanno solo in coppia? La sommellière ci ha confermato che di tavoli di sole donne non se ne vedono, al massimo qualche giapponese. Non ho particolari conclusioni da trarne.
Il secondo, Maialino da latte in porchetta cotto a bassa temperatura, scalogno glassato, ad alcuni di noi è piaciuto poco, io non l'ho trovato male, però mi capita spesso di esperire, l'ho già scritto, che in posto del genere il piatto di carne sia il meno interessante del menu; per accompagnarlo un bicchiere di Villa Gemma, un Montepulciano d'Abruzzo Masciarelli del 2002, una bella complessità , un vino davvero convincente.
Di nuovo mi perdonerete se non ricordo perfettamente l'avant-dessert, che era comunque a base di formaggio... il buffo è che mi era piaciuto non poco, ma davvero non sono in grado di risalire alla sua composizione.
Il dolce invece lo ricordo molto bene, anche perché si tratta di una discreta provocazione trattandosi di Gnocco fritto con cioccolato al latte, prosciutto DOP di Modena, frangipane alle amarene, crema al latte, eppure persino il prosciutto nell'insieme risultava dolce; ultimo vino del pasto il Maximo 2004 di Umani Ronchi, vino marchigiano botricinato, cioè prodotto con uve appassite dal marciume nobile, denso e ricco come si confà a vini siffatti.
La piccola pasticceria e, se ricordo bene, un paio di caffè (non per me) hanno concluso il pasto.
LA FINE DEL GIOCO
Il conto è stato di 97 euro a testa, e mentre il nostro commensale segreto ancora discute con Marchini sulle differenti educazioni alimentari nelle diverse regioni e province, io lascio il resoconto del pasto per le mie considerazioni: i cappelli non possono essere che quattro, ma in che senso? Non solo perché mi sono dato come regola di non dare cinque cappelli a un ristorante visitato una volta sola, ma anche perché devo confessare che quando si arriva a pagare un conto comunque importante come questo, allora divento molto severo, e avrei voluto una maggiore audacia nei piatti: probabilmente dovrei pescare dall'altra sezione della carta, Riflessioni contemporanee, e persino nella nostra c'erano piatti che, a leggerli così, mi sarebbero interessati maggiormente.
Questo nulla toglie all'abilità di uno chef che ha uno splendido locale, già solidamente avviato e dal quale mi aspetto ancora grandi cose, anzi, tornerò sicuramente a provarlo, prima o poi.
Un grazie ancora agli amici che hanno diviso con me questa esperienza, e a GustaModena che me li ha fatti conoscere.
Consigliatissimo!!
[Reginalulu]
01/09/2010